Tossicodipendenza: percorsi di cura

L’uso ricreativo, Ii concetto di craving e i rischi della ricaduta. Abbiamo analizzato le fasi della tossicodipendenza e le caratteristiche dei principali percorsi di cura.

La ricerca di uno stato alterato di coscienza ha da sempre accompagnato la storia evolutiva dell’uomo. Ne sono un chiaro esempio le tradizioni sciamaniche, tutt’oggi praticate in diverse parti del mondo, in cui i viaggi estatici dello sciamano della tribù hanno il compito di metterlo in contatto con il mondo ultraterreno. L’alterazione dello stato di coscienza, prerequisito essenziale per poter svolgere il rituale, può essere indotta in diversi modi. Per esempio, tra i Boscimani, cacciatori e raccoglitori che vivono in Botswana, le danze rituali attorno al fuoco, col supporto di musiche ritmiche e canti costanti, creano uno stato di eccitazione dei partecipanti che dura per un’intera notte e conduce alla trance, prodotta fisicamente dall’iperventilazione1. In questi balli sfrenati i membri del rituale hanno percezioni luminose indipendenti dalla quantità di luce e dal contesto in cui si svolge il rituale. In generale, nelle pratiche sciamaniche l’uso di droghe naturali psicoattive, la sudorazione forzata e la privazione alimentare erano considerati canali tramite cui accedere a visioni2.

Se da sempre quindi l’uomo si mostra interessato e alla ricerca di stati di coscienza altri, possiamo però considerare la condizione di tossicodipendenza come l’esito finale, e non per forza determinato, di un progressivo scivolamento lungo un continuum che caratterizza l’approccio alle sostanze che hanno potere psicoattivo. All’inizio di tale continuum possiamo trovare un uso ricreativo di sostanze, che vengono quindi ricercate in ottica di sperimentazione e utilizzate per uno scopo principalmente ludico. Con lo stadio successivo l’approccio alle sostanze diventa problematico in quanto esse vengono utilizzate al fine di raggiungere un determinato obiettivo che la persona non riesce autonomamente ad ottenere, o quantomeno ne è convinta. Fumare thc per riuscire a rilassarsi e dormire, bere un superalcolico per essere più disinibito e riuscire a rimorchiare una ragazza, sniffare cocaina per avere una performance sessuale ottimale ne sono degli esempi. La conseguenza dell’uso problematico di sostanze è che più il soggetto le utilizza per raggiungere il suo scopo, meno si affida quindi a strategie e risorse individuali, che progressivamente si indeboliscono e depotenziano, depauperizzando quasi completamente la persona. Spostandoci lungo il continuum troviamo poi l’abuso di sostanze, che si caratterizza per un uso ricorrente e massiccio della sostanza, anche in situazioni fortemente rischiose per l’incolumità della persona, causando disagio e menomazione del soggetto, difficoltà interpersonali e incapacità di adempiere ai principali compiti connessi al suo funzionamento sociale. Infine, all’estremo del continuum, troviamo la dipendenza, che è una forma di schiavitù, di continuo indebitamento verso la sostanza ed i suoi effetti3. È quindi un insieme di fenomeni cognitivi, comportamentali e fisiologici a seguito del ripetuto uso di una sostanza. Tale sindrome è caratterizzata da intenso e irrefrenabile desiderio di assumere la sostanza, da difficoltà nel controllarne l’uso in termini di inizio, durata del consumo e quantità , da persistenza nel suo utilizzo costante, malgrado le evidenti conseguenze dannose per il soggetto, da progressivo disinteresse e disinvestimento o rinuncia a fonti di gratificazione diverse dalla sostanza assunta a causa della grossa quantità di tempo impiegata a procurarsi, consumare la sostanza o riprendersi dai suoi effetti, da un aumento della tolleranza, ovvero dalla necessità di dosi sempre maggiori da utilizzare per ottenere l’effetto in origine prodotto con dosi minori e, infine, dalla comparsa dell’astinenza quando l’uso di sostanza è sospeso o ridotto4. La tossicodipendenza ha una precisa evoluzione, che vede una prima fase in cui il soggetto si innamora della sostanza, la cosiddetta “luna di miele”, per gli effetti che essa ha su di lui (sballo e piacere, anestesia, autocura/automedicamento, etc.), per poi arrivare invece ad una seconda fase in cui il massiccio utilizzo porta a sentire sempre meno gli effetti piacevoli e l’assunzione diventa una necessità urgente data dal voler evitare semplicemente lo stato di astinenza.

Tra gli elementi che compongono questa patologia troviamo il craving, letteralmente “brama”, che può essere quindi definito come il desiderio impulsivo per la sostanza che sostiene il comportamento additivo e la compulsione finalizzati al fruire dell’oggetto di desiderio5. Il craving è quindi un’esperienza soggettiva dello stato motivazionale direttamente responsabile del consumo di sostanze, una sorta di percezione interna dei livelli di compulsione nei confronti dell’alcool e delle droghe6. Il craving viene stimolato in modo immediato da fattori associati alla sostanza, ovvero elementi capaci di svolgere un ruolo “trigger”, cioè “grilletto”, che innescano con un meccanismo di condizionamento, e per associazione di idee, il desiderio della gratificazione ottenuta chimicamente7. Può essere scatenato, ad esempio, dalla vista di cose che ricordano l’uso di droga o di alcol o da sentimenti come l’ansia o la rabbia ma anche da elementi non identificabili8.

Se la semplice assunzione delle sostanze psicoattive che segue i ritmi e le modalità del comportamento additivo è regolata da un processo automatico, al contrario il craving comporta l’attivazione di un meccanismo cognitivo diverso, ovvero un conflitto tra la motivazione all’assunzione dell’alcool o della droga e la consapevolezza del rischio che ne deriva: in quest’ottica dunque il craving diviene funzione di diversi fattori che interagiscono in un mutevole equilibrio con il mondo intrapsichico e con le interferenze ambientali. I fattori che più probabilmente portano al craving sono il desiderio della sostanza sostenuto dall’esposizione a stimoli condizionanti e lo stress e le condizioni a rischio del tono dell’umore, che possono essere a loro volta influenzati dalla capacità di adattamento legata ai tratti temperamentali, dalle caratteristiche psicologiche e da eventuali disturbi psichiatrici, nonché dalla consapevolezza del rischio connessa con la storia individuale, i fattori culturali, ambientali e relazionali9.

Il craving quindi varia per intensità e durata ed essendo un’esperienza soggettiva è importante conoscere quelle situazioni o cose che possono innescarlo, riconoscere i sintomi ad esso associati, siano essi fisici o psicologici, e sviluppare delle tecniche efficaci per fronteggiarlo. I sintomi fisici del craving, ad esempio, provocano crampi allo stomaco oppure la sensazione che il corpo sia attraversato da scosse elettriche, mentre i sintomi psicologici sono la sensazione di aver bisogno della sostanza o di pensare a quanto sarebbe bello usare le droghe10.

Un altro elemento costituente la tossicodipendenza è la ricaduta. Occuparci del concetto di ricaduta significa, in primo luogo, occuparci di due aspetti fondamentali della tossicodipendenza: cronicità e recidività. Con “cronicità” ci si riferisce al fatto che la tossicodipendenza è una patologia di lunga durata, che talvolta accompagna permanentemente tutta la vita del soggetto. Con il termine “recidività” invece ci si riferisce al fatto che la patologia si può periodicamente e costantemente riacutizzare, anche se in fase di diminuzione dei sintomi. Ciò si esprime, in particolare, attraverso la ricaduta. La ricaduta è quindi l’utilizzo di sostanza in seguito a un periodo di astinenza da essa, ed è molto frequente nei percorsi di vita e di cura del soggetto tossicodipendente. L’alessitimia in cui spesso si trova il soggetto tossicodipendente durante tutto il tempo in cui è lontano dalla sostanza, che in genere coincide col tempo della cura, è la causa principale del craving e quindi la depressione della risposta edonica, che può protrarsi per lungo tempo una volta terminata la pratica tossicomanica è la condizione che spinge verso la ricaduta. Inoltre, una volta che il soggetto entra in contatto con la sostanza entra in uno stato di eccitazione, dato anche da modificazioni neurobiologiche, troppo appetibile per potersi fermare. Per questo motivo l’andamento tossicomanico si cronicizza con un alternarsi ciclico di fasi di remissioni e ricaduta che delineano l’immagine, pensando al tipo di cura, di una “porta girevole”11.

Da un punto di vista psicologico, la ricaduta si configura come uno degli elementi della patologia che il soggetto più difficilmente accetta, legando spesso la frustrazione che ne deriva ad un senso di fallimento personale e di totale impotenza di fronte al potere che la sostanza esercita su di lui, vincendo sempre sulla sua volontà. Riuscire invece ad accettare ed integrare la ricaduta come parte della patologia risulta essere un obbiettivo di cura fondamentale, in grado di orientare il soggetto ad un modello di cura più adeguato, che tiene conto della cronicità e della recidività, e quindi della possibilità di ricadere. Ciò significa passare da una visione della ricaduta come ”apripista alla completa distruzione di sé” ad una visione di ricaduta come parte della patologia, altrettanto gestibile al pari di tutti gli altri aspetti, attraverso una serie di strategie di prevenzione e intervento immediato che vadano nella direzione della cura.

Riflettere sul concetto di ricaduta, cronicità e recidività porta inevitabilmente a riflettere sulle caratteristiche che i percorsi di cura con utenza tossicodipendente devono necessariamente avere.

Nel pensare all’eziopatogenesi, alle dimensioni costituenti e ai percorsi di cura e riabilitazione della tossicodipendenza dobbiamo necessariamente considerare aspetti biologici, psicologici, sociali, relazionali e di macrocontesto, che si intrecciano e influenzano vicendevolmente. La dipendenza patologica, infatti, può anche essere il sintomo risultante da un insieme di eventi di vita, anche casuali, di altri malesseri psicologici, di condizioni sociali complesse, di effetti collaterali e indesiderati delle sostanze assunte e della pressione dei pari, di condizioni psichiatriche chiaramente diagnosticabili12.

I percorsi di cura si declinano in tre principali livelli di assistenza: prima accoglienza, trattamenti diurni, trattamenti residenziali. Tali livelli variano a seconda di intensità e durata, in un’ottica della tossicodipendenza che rimanda all’immagine della “porta girevole”. Il tossicodipendente entra ed esce dai vari servizi territoriali preposti in maniera fasica e cronica, proprio per le caratteristiche della patologia precedentemente descritte. Inoltre, ai termini cronicità e recidività va aggiunto quello di longevità, in quanto l’utenza sta progressivamente invecchiando come rivelano i dati epidemiologici di Sert e Comunità13. La longevità propone nuovi temi e nuove sfide, che vanno nella direzione di una visione della presa in carico del soggetto tossicodipendente complessiva, che utilizzi strumenti tecnici nuovi e agili in grado di stimolare empowerment nei clienti e nei caregiver di riferimento attraverso una valutazione multidisciplinare integrata, in linea con una visione biopsicosociale della patologia.

 

[1]Cfr. “Segni, parole, magia. Il linguaggio magico”, M. Centini.
[2]Ibidem.
[3]Cfr. Pani, Amato, Prefazione, in “Tossicodipendenza. Una guida alle basi razionali del trattamento”, P. P. Pani, L. Amato (a cura di), 2014, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
[4]WHO, ICD-10, http://www.who.int/substance_abuse/terminology/icd_10/en/
[5]Gilberto Gerra, Amir Zaimovic, Centro Studi Farmacotossicodipendenze, Dipartimento Dipendenze Patologiche, AUSL di Parma.
[6]Tiffany ST, Conklin CA. A cognitive processing model of alcohol craving and compulsive alcohol use. Addiction 2000 Aug;95 Suppl 2:S145-53.
[7]Ibidem.
[8]D.C. Daley, D. Mercer, G. Carpenter. Counseling for Cocaine Addiction: The Collaborative treatment Study Model Addiction series N.4, NIDA, 1999.
[9]Monti PM, Rohsenow DJ, Hutchison KE. Toward bridging the gap between biological, psychobiological and psychosocial models of alcohol craving. Addiction 2000 Aug;95 Suppl 2:S229-36.
[10]D.C. Daley, D. Mercer, G. Carpenter. Counseling for Cocaine Addiction: The Collaborative treatment Study Model Addiction series N.4, NIDA, 1999.
[11]Cfr. Massimo Borgioni, “Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota”, Alpes, 2015, pp. 57-58.
[12]Riccardo Gatti, “La riduzione delle cronicità nelle dipendenze patologiche”, Extra Moenia, 10, pp.48-49, 2016.
[13]Giuseppe Mammana, “Le dipendenze patologiche tra bassa intensità e farmaci sostitutivi”, Extra Moenia, 10, p.53, 2016.

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